Quando parliamo di Open Space (anche conosciuto come ambiente aperto) facciamo riferimento ad ambienti senza pareti, caratterizzati da piccoli divisori minimi tra i vari spazi dell’ufficio. È una soluzione d’arredo contemporanea, nata a New York negli anni ’50, arrivata in Europa qualche decennio più avanti.
Nello specifico, a lanciare questa moda sono state le aziende statunitensi che avevano la necessità di abbattere i muri che dividevano i loro dipendenti, a favore di prestazioni di lavoro più trasparenti e data la corposità numerica dei lavoratori, che avevano bisogno di spazio e di cooperare in gruppi di lavoro, con il fine di operare per un obiettivo comune.
Doveva promuovere la collaborazione tra colleghi – tutti alla pari, tutti vicini allo stesso modo – il dinamismo, l’apertura, la comunicazione, il flusso libero e selvaggio di idee: l’Open Space è stato simbolo di modernità e nuovo approccio al lavoro.
Peccato che i dipendenti odino l’Open Space. Proprio così: secondo FastCompany, gli uffici aperti non piacciono più perché distraggono, non proteggono la privacy, investono chi lavora con un sovraccarico sensoriale che mette a dura prova la concentrazione e genera molto più stress del dovuto. E gli studi condotti a riguardo confermano l’impressione dei lavoratori: i benefici promessi sono stati di gran lunga superati dai difetti dell’ambiente di lavoro senza divisioni.