Quando è morto, il 19 giugno 2018, Koko era il più famoso gorilla del pianeta. Nata nel 1971 – era un esemplare femmina – allo zoo di San Francisco, Koko morì nel sonno alla veneranda età, per la sua specie, di 47 anni. Ha vissuto la maggior parte della sua vita a Woodside, in California, presso la riserva della Gorilla Foundation, tra le montagne di Santa Cruz. Era conosciuta per aver appreso un gran numero di segni, più o meno simili a quelli della lingua dei sordomuti americani (American Sign Language o ASL), che era in grado di decifrare e di utilizzare in modo appropriato: secondo Francine Patterson, la sua istruttrice di una vita, Koko era in grado di elaborare più di 1.000 segni.
Patterson è riuscita in un esperimento senza precedenti né uguali, e le capacità che Koko ha sviluppato con il tempo di “comprendere e parlare con i segni” lo hanno reso noto in tutto il mondo, tant’è che ricevette più di una volta l’onore della copertina del National Geographic. La ricercatrice si era legata a Koko durante la sua ricerca di dottorato, quando si accorse che era gravemente ammalata.
In quel periodo lo zoo cedette Koko alla ricercatrice, che ottenne di poterla “adottare” grazie al supporto della Gorilla Foundation. Koko, che da adulta pesava circa 130 chili (più della media dei gorilla), visse inizialmente con Michael (un altro gorilla in grado di utilizzare i segni), poi, alla morte di questo, ha trascorso gli ultimi anni della sua vita con Ndume, un altro gorilla maschio.
Secondo Patterson, Koko aveva realmente una intelligenza particolare e a 19 anni era stata in grado di superare il test dello specchio, ossia dell’auto-riconoscimento, una prova che molti gorilla falliscono.
Si è sostenuto che Koko fosse in grado di comprendere l’umorismo (forma di comunicazione che richiede capacità di elaborazione complesse) e che inventò lei stessa nuovi segni per comunicare nuove parole.
Un esempio fu il concetto di “anello”, che nessuno gli aveva trasmesso: sembra che Koko fuse l’idea del “dito” con quella di “braccialetto”, arrivando così al “braccialetto per dito”.
Stando ai ricercatori, Koko chiese ripetutamente di avere un gatto come amico e quando le fu regalato un gattino di pezza risposte con segni che esprimevano tristezza. Al contrario, si mostrò invece felicissima quando a un suo compleanno le fecero trovare un gattino vero, che allevò come un figlio.
Con la sua morte, Koko si è portata con sé molti segreti che forse rimarranno tali per sempre.
Fonte: Focus.it 25 giugno 2018 – Luigi Bignami