Il caso Zanfretta: la vera storia di un eclatante rapimento alieno - Italiador
Breaking news

Il caso Zanfretta: la vera storia di un eclatante rapimento alieno

5+

La notte era gelida e la vegetazione ai bordi della stradina completamente ghiacciata a causa della galaverna, un fenomeno atmosferico invernale molto frequente sui monti dell’Appenino ligure. Era la notte tra mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre 1978. La Fiat 126 procedeva lentamente e i fari illuminavano la stretta carreggiata, appena sufficiente per una sola vettura. Dopo alcuni minuti il metronotte si lasciò alle spalle l’abitato di Marzano, piccola frazione del paese di Torriglia, e si inoltrò verso la montagna. Voleva raggiungere la villa “Casa nostra”, di proprietà del dentista genovese Ettore Righi. Era l’ultima costruzione della stradina, prima di inoltrarsi verso i deserti tornanti delle colline circostanti. Quella guardia giurata si chiamava Pier Fortunato Zanfretta, aveva 26 anni (ndr … era il tredicesimo figlio, dopo sei coppie di gemelli), era sposato e padre di due figli. Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Ma fu lo scrupolo a condurlo fino a quella villa, dove avrebbe voluto soltanto inserire i suoi bigliettini dell’Istituto di Vigilanza Privata Val Bisagno, presso cui lavorava, per far vedere che era stato sul posto e aveva controllato l’immobile. Erano circa le 23,45 e le cose non andarono come il metronotte si aspettava. Visto che fino a quel momento la serata era stata tranquilla, Zanfretta pensava di completare il suo turno senza incidenti. Invece, non appena entrò in contatto visivo con la villa, vide distintamente quattro luci che si aggiravano lungo il perimetro dell’immobile. Anche il cancelletto era aperto. Allora parcheggiò la FIAT abbastanza distante dalla casa e immediatamente chiamò la centrale operativa: “Canguro dalla 68, canguro dalla 68: mi porto dentro la villa, ci sono dei ladri”. Ma dalla centrale non rispondevano. Anzi, l’impianto elettrico dell’auto all’improvviso andò in tilt e, contemporaneamente, le luci della vallata si spensero, facendo precipitare l’intera zona nel buio assoluto. La notte e il cielo nuvoloso coprivano anche la luna. A quel punto Zanfretta impugnò la sua pistola d’ordinanza, tenne nella sinistra una pila portatile e si incamminò, con molta cautela, verso il cancello aperto. Avendo visto le luci girare intorno alla casa, si appiattì di spalle contro il muro e avanzò, lentamente, verso l’angolo. L’intenzione era di cogliere di sorpresa i ladri, con l’arma spianata verso di loro. Invece, giunto ormai alla fine del muro, una forte spinta alle sue spalle lo scaraventò per terra, facendogli cadere pistola e pila. Preso alla sprovvista, cadde sul prato, ma cercò subito l’arma e la torcia, puntandola poi verso chi gli aveva dato quella spinta. Ciò che vide lo segnò per sempre: secondo il suo racconto, di fronte a lui si trovò due gambe lunghissime che confluivano in un busto gigantesco, sovrastato da un’incredibile testa dove lampeggiavano due occhi triangolari, di un giallo luminoso. Nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la bocca c’era una specie di retina metallica, dalla quale traspariva della luce. Ai lati della testa c’erano quelli che apparivano come tre grossi spinoni per parte. Sul capo, si notava qualcosa come una rete di vene rossastre. Due lunghe braccia terminavano con grosse mani le cui dita avevano estremità rotonde. In tutto, quell’individuo era alto almeno tre metri. L’intero corpo, testimonierà in seguito, sembrava coperto da qualcosa come “grasso o tuta molle, comunque grigia”. In altre parole, pareva che lo strano essere indossasse qualcosa come, appunto, una tuta. A quel punto il racconto del metronotte si interruppe. Consciamente, non ricordava nulla di più. Era come se, dallo spavento, avesse perso i sensi. Ancora non lo sapeva, ma quella notte sarebbe nata una delle storie più controverse e documentate dell’ufologia mondiale: il caso Zanfretta. Sono passati 39 anni da quel giorno e le avventure del più famoso metronotte italiano di quell’epoca sarebbero state raccontate e dibattute sui giornali, in televisione, alla radio e su Internet. Oggi, le sue vicissitudini, tradotte in inglese e spagnolo, fanno ormai parte delle cronache ufologiche diffuse sul pianeta. Il mio libro (Il caso Zanfretta), è uscito anche nella versione inglese (The Zanfretta Case) su Amazon, ed è stato tradotto in giapponese dalla Hikaruland Publishing Ltd di Tokyo.

Ma come sono rimasto coinvolto in questa incredibile storia? E, soprattutto, perché l’ho fatto? Tanto per cominciare, bisogna dire che in quel periodo lavoravo come cronista di nera nel quotidiano IL CORRIERE MERCANTILE di Genova. Era uno dei quotidiani più antichi d’Italia, essendo stato fondato nel 1824. Venne chiuso nel 2015, in seguito alla crisi che ha distrutto buona parte dell’economia italiana. Avevo terminato il mio ciclo di studi universitari nel 1977 ed ero entrato, nel giro di un mese, nel MERCANTILE come praticante. Era il giornale dove avevo collaborato a lungo ai tempi del liceo. E’ il caso di dire che, dopo la mia assunzione, mi sono trovato nel bel mezzo degli Anni di Piombo, per cui mi sono occupato di terrorismo, e in particolare di Brigate Rosse, per diverso tempo. Solo nel 1982 Indro Montanelli mi assunse a IL GIORNALE, dove sono rimasto per quasi trent’anni, fino al  prepensionamento. Anche se continuo con un contratto di collaborazione in esclusiva. Alla fine del 1978, dunque, avevo già al mio attivo una discreta esperienza in diversi fatti di sangue di matrice terroristica, compreso il caso Moro. Tutte cose, dunque, che nulla avevano a che fare con UFO e cose del genere. Tuttavia, come mi hanno insegnato quando studiavo giornalismo negli Stati Uniti, “la notizia è come una donna incinta: o lo è o non lo è. E se lo è, ed è dimostrabile e verificabile, allora va pubblicata”. A prescindere dall’argomento che la riguarda. Per cui, quando cominciai ad occuparmi di quanto accadde quella notte a Marzano di Torriglia, non mi importava assolutamente nulla se quella storia avesse a che fare con UFO o meno: cercavo soltanto la verità dei fatti. E non mi ci volle molto per scoprire che di un fatto concreto si trattava, a prescindere dai pregiudizi e dalle paure di tanti miei colleghi, i quali, visto che si parlava di UFO, preferivano non interessarsene. Il problema era che esisteva un’inchiesta giudiziaria da parte dei carabinieri, un procedimento giudiziario della Magistratura di Genova e la testimonianza di 52 persone, tra le quali anche il sindaco di Torriglia e altri notabili del paese. Ebbene, tutti confermavano di aver visto un misterioso disco volante luminoso volteggiare nel cielo di quella zona. Testimoni, è bene precisare, il cui numero aumentò nel corso dei diversi presunti incontri che il metronotte ebbe in quegli anni. Erano tutti pazzi? Avevano preso lucciole per lanterne? Oppure era inventato il terrore che diversi di questi individui provarono quando si ritrovarono, loro malgrado, coinvolti in avvistamenti ufologici che non avrebbero voluto fare? Il fatto è che l’informazione non può partire dal presupposto “visto che non può essere, non è”. Se un evento è accaduto, i cronisti dovrebbero almeno indagare per accertare quanto di vero ci possa essere in quel racconto. Invece, come purtroppo è consuetudine per moltissimi colleghi, il più delle volte si limitano a chiedere informazioni ai carabinieri e alla questura. Se le forze dell’ordine, per qualsiasi motivo, non vogliono darne, la cosa finisce lì. Pochi, pochissimi, indagano per i fatti loro. Questo genere di comportamento professionale, purtroppo, è estraneo alla maggior parte dei giornalisti italiani. Eppure, nel caso Zanfretta c’era molto su cui indagare. Tanto per cominciare, era necessario saperne di più su quanto veniva fuori dalle ipnosi regressive cui veniva sottoposto Zanfretta in quegli anni. Fui io a chiedere a Gianfranco Tutti, direttore dell’Istituto di Vigilanza Privata Val Bisagno, il permesso di fare sedute ipnotiche con Zanfretta. Con il consenso dell’interessato, ovviamente. E così Zanfretta alcuni giorni dopo era sdraiato sul lettino di pelle del dottor Mauro Moretti, psicoterapeuta e ipnologo clinico, con studio in via San Sebastiano, a Genova, per rivivere quelle tremende ore notturne che tanto scalpore avevano provocato. La prima cosa che venne fuori era che, dopo aver perso i sensi, egli sarebbe stato portato a bordo di un’astronave dove, denudato e posto su un tavolo metallico, sarebbe stato esaminato clinicamente dagli strani “alieni” giganteschi. Dopo gli permisero di rivestirsi e lo lasciarono andare. L’uomo, però, era tanto terrorizzato da non connettere più razionalmente. In ipnosi disse soltanto che, dal lato monte della casa, aveva visto sollevarsi un grosso disco volante luminoso che, con incredibile rapidità, era poi scomparso nel cielo. Subito dopo le luci della valle si sono riaccese, comprese quelle della sua auto. Quando l’indomani i carabinieri si recarono sul posto, dopo che l’Istituto Val Bisagno aveva presentato una denuncia contro ignoti per l’aggressione subita dal loro dipendente, trovarono nel punto descritto da Zanfretta, cioè l’area che prima ospitava alcuni orti, tutta la terra smossa, come se qualcuno vi fosse passato sopra con dei macchinari. Era tutto all’aria e anche i paletti di legno, che delimitavano le colture, erano stati rimossi e buttati lateralmente. Il brigadiere Antonio Nucchi, comandante la stazione carabinieri di Torriglia, conduceva le indagini. E fu il primo a credere a Zanfretta, visto che solo alcuni mesi prima, a fine settembre, egli stesso aveva visto nitidamente un grosso disco volante luminoso mentre, all’imbrunire, stava pescando al lago del Brugneto insieme ad un amico. Non solo: qualche mese più tardi, mentre di sera ritornava in auto da Genova insieme alla moglie e ad una coppia di amici, transitando sulla Statale 45, si era fermato perché ad alcune decine di metri da loro, c’era un altro grosso disco volante luminoso, appena sopra le cime degli alberi. Lo videro tutti e quattro distintamente. Lo descrissero nel seguente modo: con un diametro apparente di circa trenta metri, aveva diversi finestrini luminosi in quella che sembrava una carlinga, e ruotava piano su stesso, sempre sulla stessa verticale. L’apparizione durò qualche minuto. Poi il disco cominciò a girare vorticosamente e con un incredibile guizzo sparì alla vista dei quattro. Molti anni dopo, Nucchi mi disse che era andato a rapporto dal suo colonnello comandante per comunicargli quanto stava accadendo dalle sue parti, ma l’ufficiale gli consigliò di tacere “per il bene suo e della sua famiglia”. Questa confidenza mi venne fatta appena prima che un brutto male si portasse via il maresciallo Nucchi, ancora giovane e nel pieno degli anni.
Tornando a Zanfretta, le sue avventure notturne continuarono, creando non poche polemiche. Ormai famoso perché Enzo Tortora lo aveva voluto nel suo celeberrimo programma “Portobello”, i suoi incontri fornivano  ogni volta notizie diverse. La notte tra il 26 e il 27 dicembre 1978, a venti giorni esatti dal primo “incontro”, Zanfretta sparì un’altra volta. Andarono in molti alla sua ricerca, compreso il direttore Tutti. Lo trovarono lungo un sentiero nei pressi dell’abitato di Rossi, cioè vicino al borgo dove nacque Natalia Garaventa, la madre di Frank Sinatra. Nonostante la temperatura sotto lo zero, era tutto accaldato, nel corpo e negli abiti. Anche la sua auto, una FIAT 127, aveva la lamiera che scottava. Il metronotte che la riportò a Genova, disse che “sembrava un forno”. Intorno all’auto l’indomani i carabinieri trovarono strane orme lunghe oltre 50 centimetri. Non solo, mentre scendevano lungo la stradina che porta al Passo della Scoffera, i circuiti elettrici di tutte le auto dei metronotte andarono fuori uso. E ripresero a funzionare soltanto quando raggiunsero la strada principale.

In seguito alle polemiche che seguirono, qualcuno suggerì che l’ipnosi non bastava per verificare l’andamento dei fatti vissuti. Meglio il siero della verità: il Pentotal. Zanfretta accettò anche questa nuova sfida e si recò a Milano, dove il farmaco gli venne iniettato presso il Centro Internazionale di Ipnosi Medica e Psicologica. La seduta fu condotta dal professor Marco Marchesan. Inutile dire che, anche sotto Pentotal, il metronotte non fece altro che ripetere tutto quello che aveva già detto in ipnosi.

Un altro degli episodi che vale la pena citare è quello che avvenne la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1979. Era sparito ancora una volta e due auto dei metronotte si misero alla sua ricerca. C’erano due guardie giurate per veicolo e la pattuglia era guidata da Giovanni Cassiba, il loro comandante. Le auto stavano transitando nei pressi di Fallarosa, a circaduechilometri da Marzano, quando improvvisamente vennero investite da una grande luce. Gli impianti elettrici andarono subito in tilt e i motori si spensero. Terrorizzati, iquattro metronotte scesero di corsa dalle macchine e videro che la luceproveniva dal cielo: due grossi fari si erano accesi da una nuvola ferma sopra di loro. Senza alcuna esitazione, Cassiba estrasse la pistola d’ordinanza e scaricò l’intero caricatore in direzione delle luci. Poi prese l’arma di uno dei suoi colleghie continuò a sparare. Il tutto durò pochi minuti. Ad un certo punto, i fari si spensero e la nuvola, lentamente, si allontanò verso valle, in direzione del mare. Le auto si riaccesero, ma i quattro erano sconvolti. Uno di loro, che alcuni mesi dopo si ucciderà con un colpo di pistola alla testa, fu tanto terrorizzato da farsela addosso.
L’indomani sera Zanfretta venne sottoposto ad una nuova ipnosi durante la quale, rivivendo il dialogo che avrebbe avuto con i misteriosi “alieni”, disse che erano stati in Spagna dove avrebbero spaventato della gente. L’indomani mattina, mentre mi trovavo al MERCANTILE, ricevemmo un flash internazionale dalla Spagna nel quale si diceva che il giorno precedente a Guadalajara, piccolo centro nei pressi di Madrid, l’auto con il veterinario Alfredo Sanchez e la sua famiglia, era stata inseguita da un UFO e il medico, terrorizzato, alla fine aveva perso il controllo della vettura finendo in una scarpata. Fortunatamente, ci fu soltanto qualche ferito ma nulla di grave. Fu una coincidenza? E se così non fosse, come avrebbe fatto Zanfretta a sapere di quell’episodio, visto che quando lui era in ipnosi nessuno ne aveva ancora scritto o parlato? Fu un altro dei misteri inerente questo incredibile caso.

L’ultima cosa che vorrei ricordare di quegli anni, fu il fatto che, durante le sedute di ipnosi, Zanfretta si mise a parlare una lingua sconosciuta. Registrai un nastro e lo portai dal professor Umberto Rapallo dell’Istituto di Glottologia dell’Università di Genova. Il docente lo esaminò, ma non riuscì a comprenderne il significato. Di fatto non riuscì neppure a stabilire se veramente potesse trattarsi di una lingua.

In seguito accaddero diverse altre cose. Nel ’91 Zanfretta venne invitato al Congresso Mondiale di Ufologia a Tucson, in Arizona. Alcuni imprenditori americani si misero in contatto con lui anche a Genova, ma la storia non andò avanti perché egli non era disponibile a tirar fuori la famosa sfera che gli avrebbero dato gli “alieni”. Oggi, a quasi quarant’anni da quei giorni, la situazione è molto cambiata. Tanto per cominciare, Zanfretta non è più il timido metronotte di una volta, ma parla a ruota libera e racconta sia la sua esperienza passata, sia ciò che, a suo dire, potrebbe accadere in futuro. Per esempio, nel marzo del 2016, mentre era ospite di un convegno a Pomezia, annunciò che da agosto di quell’anno in Italia ci sarebbe stato un brusco risveglio dell’attività vulcanica e si correva un rischio assai concreto per il Vesuvio, che poteva risvegliarsi con una forte eruzione. In effetti, dall’agosto del 2016 c’è stata una ripresa delle attività sismiche e si teme che a breve il Vesuvio potrebbe riprendere la sua attività vulcanica. La notizia recentemente è stata confermata da eminenti sismologi negli Stati Uniti e in Giappone. Ma, se anche fosse, come avrebbe fatto Zanfretta a esserne a conoscenza? Anche questa notizia, così come tutte le altre, resta nel limbo del mistero e dell’incertezza, così tipici di questo stranissimo e indecifrabile caso.

Fonte: Rino Di Stefano

CONSIDERAZIONE

Ognuno é ovviamente libero di farsi la propria idea su quanto riportato, tuttavia rimangono alcune considerazioni da fare. Zanfretta era all’epoca dei fatti una persona tranquilla rispettabile, marito e padre di due figli. A seguito dei fatti avvenuti e riportati ha perso moglie, figli e lavoro. Zanfretta NON ha mai guadagnato una lira e gli unici che ne hanno tratto profitto, da quanto ci é dato sapere, sono coloro che gli sono stati attorno, speculando e scrivendo sul povero vigilante. I carabinieri hanno investigato lungamente e sono arrivati alla conclusione che Zanfretta non ha mentito. Circa 50 testimoni hanno potuto assistere a strani eventi in prossimità della villa sulle colline liguri in diverse occasioni. Le ipnosi regressive hanno fatto pensare che le esperienze riferite da Zanfretta siano genuine. Alla fine la domanda principale che dovremmo farci é: ma perchè Zamfretta avrebbe dovuto inventare tutto di sana pianta e mantenere la versione dei fatti dal 1978 fino ad oggi? Val. In. 

 

5+
Se ti é piaciuto, Condividi.

Lascia un Commento

L 'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi richiesti sono contrassegnati *

*

quattro × 3 =

WpCoderX