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Derivati, ecco come i torinesi sono diventati i più indebitati d’Italia: devono restituire 3.400 Euro a testa

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I contratti derivati hanno bruciato cassa per oltre 150 milioni. Ora il sindaco Lo Russo vorrebbe liberarsi di questo fardello con un contenzioso.

«I derivati non sono il demonio» sosteneva l’ex ad di Unicredit Alessandro Profumo nel 2011 quando l’Europa provava ad uscire — con fatica — dalla recessione globale innescata dai mutui subprime. Tuttavia precisava l’ex ad di Unicredit «sono strumenti da usare con trasparenza». Perché il diavolo, come è noto, si nasconde dietro ai dettagli. E infatti su quella presunta mancata chiarezza, in termini di calcolo dei rischi e di scenari globali, dei contratti derivati stipulati nei primi anni duemila, nei giorni dei fasti Olimpici, dal Comune di Torino con Dexia Crediop, Jp Morgan e Intesa Sanpaolo, che la Città si è giocata un bel pezzo di futuro e ora vorrebbe far tornare indietro le lancette dell’orologio.

Torino oggi è il comune italiano con il debito procapite più alto d’Italia: 3.407 euro a testa, quasi il doppio della media italiana, pari 1.700 euro, e una spesa procapite di 129 euro l’anno, terza nella Penisola dietro a Firenze e Napoli. Un fardello che vale circa 3,4 miliardi di debiti che, sebbene in diminuzione dai 4 miliardi del 2015, ha fatto navigare a lungo la pubblica amministrazione sull’orlo del dissesto, costringendo a tenere alta l’asticella delle tasse locali (l’addizionale Irpef per redditi sopra 28 mila euro vale l’1,1%, Milano si ferma allo 0,8%) senza avere grandi capacità di spesa, visto che gli interessi si divorano buona parte degli incassi.

Nella vicenda del «super indebitamento» di Torino i contratti derivati, accesi dall’ex assessore al bilancio Peveraro, prima con il sindaco Castellani e poi con Chiamparino, non sono stati certo l’unico demone nascosto in quei dettagli tra posizioni floor e cap sull’Euribor, ma hanno contribuito a bruciare cassa anno dopo anno, circa 10-15 milioni di euro.
In pratica è come la Città avesse perso una «scommessa» da 150 milioni di Euro nell’ultimo decennio.

Al 2023 il debito residuo dei sei contratti derivati su cui oggi Lo Russo conta di rivalersi in sede legale, che seguono l’andamento dei tassi di interesse che si sono rivelati sfavorevoli, ammontava a circa 237 milioni di euro. Di questi solo il contratto con Jp Morgan è prossimo alla scadenza, al 2025. Per tutti gli altri bisognerà aspettare gli anni Trenta. Nel caso del derivato ex Banca Biis (ora Intesa) fino al 2036 per circa 28 milioni e al 2032 per i 55 milioni di Intesa Sanpaolo. E il rischio di bruciare altri soldi dei contribuenti in questa macchina di ingegneria finanziaria resta elevato.

Ora il sindaco Stefano Lo Russo vorrebbe liberarsi di questo fardello che continua a costare troppo alle casse comunali seguendo l’esempio di quegli enti pubblici, come il Comune di Rimini, che già nel 2010 vinse il contenzioso contro Unicredit, e poi più recentemente Venezia con Dexia e Intesa, anche se solo uno dei cinque contratti risulta di diritto italiani, gli altri 5 di diritto inglese.

Nel 2022 Palazzo Civico ha stabilito un piano di rientro (ventennale) del debito da 1,2 miliardi con il governo, guidato all’epoca dal presidente Draghi. Un sostegno per cercare di risolvere il vero problema: quello degli interessi. In quella stagione Torino spendeva 100 milioni di euro l’anno solo per gli interessi su un spesa corrente di circa 1 miliardo, quasi il 10% del bilancio.

I torinesi si trovano nella scomoda posizione di pagare aliquote più alte di Milano senza poter ricevere in cambio servizi adeguati. Il caso dei trasporti ridotto all’osso è ormai all’ordine del giorno. Ma non è l’unico. Il prezzo da pagare per i cittadini più indebitati d’Italia è una scommessa persa in partenza.

Fonte: Torino Corriere – Christian Benna – 10 Ottobre 2024

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